EFREM FERRARI: Pakistan, salvaguardia ambientale e tutela delle popolazioni

6 Min Lettura

Durante il convegno internazionale High Summit Cop 26 presso la Fondazione Minoprio (ne parlerò presto qui) ho colto la grande occasione di conoscere Efrem Ferrari, consulente della Banca Mondiale ed esperto in Scienze Forestali.

4-chiacchiere-con-Mountain-Genius-1
4 chiacchiere con…

Efrem Ferrari ha vissuto diverso tempo in Pakistan per condurre delle ricerche ed attuare dei progetti di salvaguardia delle foreste, vivendo a stretto contatto con le popolazioni locali: ero troppo curiosa di sapere come avesse vissuto questa intensa esperienza.

Per questo Efrem Ferrari mi ha raccontato del progetto di salvaguardia ambientale che ha effettuato, delle tradizioni dei locali, della sua esperienza con una famiglia pakistana. Ha parlato anche delle soluzioni attuate per proteggere l’ambiente montano pakistano e al tempo stesso tutelare i cittadini e il loro stile di vista.

Credo che la sua esperienza e il suo impegno sia a livello universitario sia lavorativo possano essere un grande esempio da seguire e per questo ho riportato qui il suo racconto.

Buona lettura!

Efrem, mi racconti qualcosa di te?

Sono Efrem Ferrari e sono un consulente che lavora principalmente con la banca mondiale e altre organizzazioni delle Nazioni Unite. La mia carriera l’ho iniziata proprio con EvK2, all’epoca EvK2CNR. Si parla del 2011, ero un giovane dottorando in Scienze Forestali. In quegli anni ho avuto l’opportunità di lavorare come forestale per il Parco del Karakorum Centrale in Pakistan.

L’obiettivo del mio dottorato era quello di sviluppare un piano di gestione per il parco. Questo comprendeva due componenti, da una parte quella ambientale con lo sviluppo dell’inventario forestale (ovvero quante foreste ci sono, quanto crescono, che tipo di specie ci sono…). Dall’altra quella sociale legata all’utilizzo delle risorse da parte delle popolazioni locali.

Come avete attuato il progetto?

Abbiamo iniziato prima con l’indagine più ecologica tramite le immagini satellitari e le osservazioni sul campo. Dal secondo anno di dottorato invece ho iniziato a lavorare con le comunità. Inizialmente pensavo che questa seconda parte fosse un po’ meno interessante, visti i miei interessi di quegli anni, ma in realtà si è rivelata essere la parte più bella del mio dottorato.

A livello pratico che cosa hai fatto? E cos’hai scoperto di queste comunità?

E’ stato un lavoro che mi ha portato per diversi mesi in queste comunità montane. Ho avuto l’opportunità di conoscere le popolazioni, di capire come vivevano e anche di capire le difficoltà che affrontano quotidianamente.

Sia dal punto di vista ambientale perché vivono in un territorio così complesso, ma anche dal punto di vista socio-economico: vedere l’utilizzo che fanno delle risorse forestali era una cosa che mi aveva molto colpito.

Ricordo che l’80% del legno che prelevano dalle foreste lo utilizzavano per scaldarsi o per cucinare.

Questa per noi è stata un’informazione molto importante perché ci ha fatto capire che per comprendere come gestire queste foreste bisognava lavorare veramente su dei consumi basici, necessari per la vita delle persone.

Bisognava cercare di fornire delle alternative ai metodi tradizionali utilizzati per scaldarsi o cucinare, come ad esempio l’uso di stufe migliorate che è uno dei grandi temi dello sviluppo sostenibile a livello globale.

Ricordiamoci che circa un terzo delle persone al mondo utilizza ancora oggi legna da ardere per scaldarsi e cucinare ed utilizza stufe molto semplici che causano anche emissioni nocive di polveri sottili e di altre sostanze. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che provochino direttamente e indirettamente circa 4 milioni di morti ogni anno.

Voi avete proposto delle soluzioni e delle alternative a queste modalità?

Sì. Abbiamo cercato di lavorare su due fronti.

Per quanto riguarda l’aspetto più forestale abbiamo cercato di migliorare l’impatto che aveva il prelievo legnoso attraverso delle riforestazioni di filari di piante a rapido accrescimento come i pioppi e altre specie locali. In questo modo i locali potevano prelevare direttamente dai loro campi il legno di cui avevano bisogno senza intaccare le foreste naturali.

Dall’altra parte si è cercato di lavorare nel design tramite l’identificazione di stufe migliorate. Nel 2013 abbiamo fatto un progetto durante il quale sono stati coinvolti dei fabbri locali che hanno realizzato queste stufe migliorate che hanno delle canne fumarie che portano i fumi caldi fuori delle case e questo è stato un primo passo.

Quindi siete riusciti a raggiungere il vostro obiettivo?

Sicuramente questo non è sufficiente per diffondere queste novità a tutti i 100.000 abitanti che vivono nei dintorni del parco, ma almeno in qualche valle siamo riusciti a lavorare. Quando si parla di cucina, come succede anche da noi, cambiare le cose non è semplice. Anche mia madre se le dicessi di passare dal gas all’induzione avrebbe qualche resistenza! (ride). Lì funziona esattamente così. Quando cerchi di cambiare qualcosa di così tradizionale come la cucina e il focolare a cui loro sono abituati non è semplice.

Quindi potremmo dire che occorre anche “istruire” i locali?

Sì, ma più che altro vanno comprese quali sono le loro necessità e fatto un design specifico delle esigenze di quel territorio. Probabilmente se ci spostassimo in Nepal la stessa soluzione non funzionerebbe. Diciamo che è un settore particolare, in cui devi vedere cosa succede in altri luoghi e comunità, però hai sempre bisogno trovare un design specifico per quel luogo e per le usanze tradizionali delle popolazioni locali.

Com’è il Pakistan?

Io ho vissuto tanti anni a Islamabad, la capitale del Pakistan, che è una città molto vivibile. Il Pakistan in generale è un paese molto vivibile e lo consiglio a tutti quelli che hanno l’opportunità o l’interesse per le montagne, ma non solo. È molto piacevole da visitare, poco turistico e quindi consente di vivere ancora un’esperienza molto pura per certi aspetti. C’è anche un po’ di sana esplorazione.

Hai vissuto diversi anni in quelle zone: hai qualche aneddoto particolare da raccontarci?

Ce ne sono molti. Ho vissuto qualche mese estivo anche a Gilgit che è invece una città più piccola, la capitale delle montagne pakistane. Lì è stata un’esperienza molto diversa e molto forte. Ho vissuto da una famiglia locale che mi ospitava, avevo un mio mini-appartamento, andavo in ufficio ogni giorno e inizialmente facevo la mia vita, con la mia cucina.

Dopo qualche giorno, hanno ha iniziato ad invitarmi a cena, ma la situazione era abbastanza particolare perché nella famiglia che mi ospitava c’erano delle figlie, più giovani di me, quindi si poteva creare qualche tensione, o almeno io immaginavo così.

Ho accettato l’invito a cena pensando che sarebbe successo una volta ogni tanto, ma in realtà da lì in poi ho smesso di cucinare e di fare la spesa perché sono diventato parte della famiglia.

Aiutavo anche le bambine durante i weekend a fare gli esercizi di matematica e di inglese, si giocava assieme, sono diventato un membro della famiglia quasi come se fossi un loro figlio. Un’ospitalità molto spontanea e vera. È stata un’esperienza veramente bella.

Sei sceso in campo molto giovane. Se un giovane vorrebbe intraprendere la tua stessa carriera quale consiglio ti sentiresti di dargli?

Una cosa che io credo sia fondamentale in questo campo lavorativo è che questo mondo è un po’ particolare: a volte sembra difficile entrare nel mondo della cooperazione, non si sa bene quali canali sfruttare… io però credo che sia importantissima una cosa: fare esperienza sul campo.

Da qui si può immaginare, leggere, cercare di capire, ma è solo sul campo che si conosce la realtà e si può capire quali sono i veri bisogni delle popolazioni.

La cosa importante credo che sia andare, non importa tanto con quale organizzazione (certo, scegliendone una seria che garantisca un minimo di sicurezza), però fare esperienza sul campo è la cosa più importante.Soprattutto perché è una cosa che ti rimane durante tutto il resto della carriera, ti consente di avere un bagaglio di esperienze da portarti dietro che pochi altri possono avere e che rimarrà sempre tuo.

Hai qualche progetto per il futuro? Stai lavorando su qualcosa?

Adesso lavoro principalmente con la Banca Mondiale, attraverso cui ho lavorato 3-4 anni con l’Afghanistan. La situazione attuale del paese è molto complicata, come sapete, quindi ora siamo in stallo.

Un grazie di cuore ad Efrem Ferrari per avermi dedicato del tempo e per aver raccontato questa splendida esperienza. Farò sicuramente tesoro del suo consiglio.

L’intervista è stata effettuata presso la Fondazione Minoprio durante la conferenza internazionale di Mountain Genius, dove ho avuto modo di svolgere altre interviste. Per scoprire il racconto dell’alpinista Maurizio Gallo puoi cliccare qui.

Condividi sui tuoi social preferiti :)

Cosa ne pensi? Lascia un commento!

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

No Comments Yet.

No any image found. Please check it again or try with another instagram account.